Agli insegnanti: il vostro lavoro è vitale, credeteci sempre! Lettera di una studentessa

WhatsApp
Telegram

Cari prof, Mi rivolgo così perché suppongo che buona parte dei lettori siano insegnanti. Mi sono chiesta un po’ di tempo fa se fosse bene scrivere una missiva simile, e oggi ho constatato che non solo è bene, ma risulta necessario – talvolta – ad ognuno, ricordarsi il perché delle cose, e oggi reputo necessario rivolgere a voi queste parole.

Sono una studentessa di liceo, a volte mi capita di leggere articoli e lettere di questo sito per un motivo in particolare: capire ciò che altrimenti non potrei capire sulle persone che incontro quotidianamente da ormai quattordici anni (senza contare asilo e scuola materna).

Come credo sia necessario per un’insegnante capire i bisogni dei ragazzi, reputo inevitabile anche per noi alunni conoscere le esigenze degli insegnanti. Oggi ho preso carta e penna perché un post letto su Facebook mi ha fatto riflettere: una laureanda chiedeva consigli su letture adatte agli aspiranti insegnanti, parlando con l’entusiasmo di chi veramente crede in qualcosa. E il primo commento a questa sua richiesta è stato di una veterana della scuola, che le consigliava di cambiare sogno, definendosi – frustrata – in trincea, e scatenando su di sé una serie di polemiche.

Come dar torto a coloro i quali parlavano di viva passione e costante motivazione nel crescere e salvare vite ogni giorno grazie all’insegnamento? Ma altrettanto, come dar torto a coloro i quali non riescono a trovare le stesse soddisfazioni e – coraggiosamente – confidano una propria debolezza, sentendolo forse anche un fallimento, perché mai gratificati per la missione quotidiana?

Da qui è nata la mia riflessione: non conosco nessuno di quelli che hanno commentato il post, perché scritto su un gruppo di lettura pubblico, ma ciò che ho letto nelle parole di Facebook è ciò che da tempo ho riscontrato anche in questo sito. Mi capita di leggere la frustrazione rassegnata nelle parole di alcuni e i sogni di gloriose imprese nelle parole di altri. E questa insoddisfazione, comune sicuramente a tutti gli ambienti di lavoro e determinata certamente dalle diverse situazioni con cui ci si rapporta, mi ha spinta a volervi dire solo una cosa: CREDETECI. Lo direi ad un operaio per strada se ne conoscessi il mondo, all’impiegato della banca se lo vedessi quotidianamente, e invece lo dico a voi perché siete voi che condividete con me le giornate, che generosamente mi insegnate ciò che allo stesso modo avete studiato e preparato, che avete una seconda vita nelle mura scolastiche perché diventate i miei educatori e tutori.

A chi non crede che i ragazzi possano cambiare – specialmente facendo riferimento (recentemente) all’evento della professoressa ferita dall’alunno o alle continue mancanze di rispetto di genitori e alunni nei confronti degli insegnanti -, a loro voglio ricordare quanto sia importante ciò che fate ogni giorno.

Credo negli insegnanti, credo nella possibilità di salvare il futuro di un ragazzo anche solo chiedendogli come si senta quel giorno, quando lo si incontra in corridoio, che sembri felice o triste, perché una semplice domanda può cambiargli la giornata.

Credo negli insegnanti e non concordo con chi orienta questo ruolo verso un rapporto estremamente rigido, addirittura prevedendo delle sanzioni in caso contrario – come leggevo in questo sito qualche giorno fa, convenendo invece con la lettera di un professore perentoriamente in disaccordo -, gerarchizzando ai massimi livelli senza capire che l’insegnamento non può essere paragonato ad un qualsiasi altro impiego, che non si può pretendere di far trasmettere valori, competenze e conoscenze asetticamente, ma è necessaria un’umanità propria di chi, appunto, si fa tutore ed educatore.

Da sempre viene posta una domanda: tu lavori per vivere o vivi per lavorare?

È più giusto che un insegnante trasmetta nozioni enciclopediche senza venire meno alle clausole contrattuali in vista della busta paga, o va tenuta in considerazione l’importanza di una passione, di un sentimento, che concedono un rapporto di fiducia e che permettono al docente di garantire una qualità al suo lavoro, educando ed insegnando, nel rispetto dell’etimologia dei due termini: e-ducare, che è un trarre, un condurre fuori per instillare e istruire, e in-signare, ovvero fissare, lasciare il segno, imprimere.

Per questo ho deciso di scrivere, perché a tutti gli insegnanti mi piacerebbe dire di non demordere, a chi non trova soddisfazioni auguro di aspettare, a chi vuole cambiare il mondo attraverso noi ragazzi dico solo di continuare ad insegnarci i valori, la dignità, l’onestà intellettuale, la fiducia, l’affetto, la capacità di ragionare e affermare la propria personalità.

Il resto verrà da sè, noi non smetteremo mai di ringraziarvi, anche se non ve l’abbiamo mai detto. Adesso approfitto di questo momento per ringraziare una persona che mi ha guidata nel mondo insegnandomi a stringere i denti, rendendomi quella che sono, divenendo il mio conforto quando il mio mondo crollava a pezzi, aiutandomi a non desistere. Grazie perché so che è stata dura anche per lei, che tiene al rispetto dei ruoli, ma che comunque c’è sempre stata. Adesso che il mondo della scuola per me è quasi finito – anche se non so nemmeno se lei mai leggerà questa lettera – voglio ringraziare immensamente la più grande maestra che io abbia mai avuto, perché, con la sua ora di italiano, mi ha davvero salvato la vita.

lettera firmata

WhatsApp
Telegram

Eurosofia: un nuovo corso intensivo a cura della Dott.ssa Evelina Chiocca: “Il documento del 15 maggio, l’esame di Stato e le prove equipollenti”