Riconoscimento progressione di carriera. ANIEF: quattro sentenze a favore dei precari

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ANIEF vince presso i Tribunali del Lavoro di Roma e Torino e anche nelle Corti d'Appello di Firenze e Milano.

ANIEF vince presso i Tribunali del Lavoro di Roma e Torino e anche nelle Corti d'Appello di Firenze e Milano. La prima mano vincente in tribunale l'ANIEF la gioca proprio presso il Tribunale del Lavoro di Roma dove l'Avvocato Salvatore Russo batte il MIUR e ottiene la condanna dell'Amministrazione al pagamento di tutte le somme mai corrisposte alla ricorrente cui era stato da sempre negato, dopo anni di servizio continuativo, il riconoscimento di una qualunque progressione di carriera solo perché docente con contratto a tempo determinato. 

In Corte d'Appello l'ANIEF batte ancora il Ministero dell'Istruzione con due sentenze che, rigettando in toto gli appelli proposti dal MIUR, hanno confermato l'illegittima discriminazione posta in essere dall'Amministrazione a discapito dei lavoratori precari riguardo la progressione di carriera.

La Corte d'Appello di Milano, infatti ha ribadito che “anche che ai contratti a termine stipulati dalle pubbliche amministrazioni deve applicarsi il principio di non discriminazione sancito dal decreto legislativo, che ha attuato la direttiva 1999/70 /CE” e che “lo scopo della direttiva 70/99 CE è in particolare quello di evitare che il contratto a termine sia utilizzato dai datori di lavoro come mezzo per risparmiare sui costi del lavoro a tempo determinato e quindi come mezzo “abusivo” per privare i lavoratori flessibili di benefici economici e normativi, collegati alla stabilità dell’impiego”.

Ad avviso della Corte milanese, inoltre, “la violazione del principio di non discriminazione configura una condotta illecita del datore di lavoro che contravviene tanto ad una disposizione imperativa di legge in termini di responsabilità extracontrattuale (secondo il combinato disposto degli art.36 2° c. del Dlgs 165/2001 e art.6 Dlgs n.36882001), quanto ad un preciso dovere di adempimento contrattuale, trasfondendosi il divieto di discriminazione nell’ambito dei doveri comunque scaturenti dal rapporto di lavoro”.

Infine, l'Avv. Simona Rotundo in Corte d'Appello a Firenze conquista la piena conferma che anche il divieto di discriminazione sancito dalla clausola 4.1 dell'Accordo Quadro collegato alla Direttiva Comunitaria 1999/70/CE è posto in chiave “antiabusiva” dello strumento del contratto a termine e che la non applicazione del divieto di discriminazione anche ad una delle più significative “condizioni di impiego”, ossia il trattamento retributivo progressivamente collegato all’anzianità di lavoro, verrebbe a pregiudicare proprio il principale “effetto utile” del precetto di parità sancito dalla direttiva, che è quello di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato ed impedire che tale tipo di contratto venga utilizzato per privare i lavoratori coinvolti dei diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato.

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