Nomina insegnante di sostegno dovrebbe essere pluriennale

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di Lucio Cottini, Professore ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Udine, Presidente della Società Italiana di Pedagogia Speciale (SIPeS) : Insegnante specializzato come figura di sistema, in relazione alle prospettive inclusive della scuola.

di Lucio Cottini, Professore ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Udine, Presidente della Società Italiana di Pedagogia Speciale (SIPeS) : Insegnante specializzato come figura di sistema, in relazione alle prospettive inclusive della scuola.

Se si pensa soprattutto alla dimensione metodologica dell’inclusione, ritengo che la figura e il ruolo dell’insegnante di sostegno siano fondamentali per perseguire obiettivi significativi, che si identificano nella fruizione del diritto all’inclusione e al raggiungimento del massimo successo formativo.

Questo non significa puntare a un semplice mantenimento della situazione attuale, alla luce delle innegabili criticità che frenano in molti contesti l’affermarsi di reali prassi inclusive, ma ribadire con decisione l’importanza di questa funzione. Le motivazioni che sostengono tale affermazione, dal mio punto di vista, risiedono sostanzialmente in due considerazioni di fondo:

a. la necessità di una figura di sistema, in grado di assolvere ad una sorta di ruolo pivotale per la concreta attivazione e regolazione della rete di sostegno a supporto delle politiche inclusive;

b. l’esigenza di poter contare sia su un ampio bagaglio di competenze di didattica inclusiva, trasversali a tutto il corpo insegnante, che su conoscenze e competenze didattiche speciali, le quali sono invece una componente specifica della professionalità dell’insegnante specializzato per il sostegno.

a) Una figura di sistema

Pensare all’insegnante di sostegno come figura di sistema non significa delegare a lui tutti i compiti connessi alla formazione degli allievi con disabilità o semplicemente allargare il suo intervento anche agli allievi con altri bisogni educativi speciali. Al contrario, conferirgli la funzione di perno della rete dei sostegni attivati in specifiche classi, rappresenta un’esaltazione della funzione nella prospettiva contestuale, del coinvolgimento di altre agenzie e delle famiglie, nel coordinamento e regolazione del progetto di vita e del piano annuale per l’inclusione.

Certamente, come ho già sottolineato, esistono delle criticità nella situazione attuale, legate all’associazione dell’insegnante di sostegno all’allievo con disabilità, cui conseguono sovente meccanismi di delega, deresponsabilizzazione del resto del corpo docente curricolare con frequenti, e non sempre giustificate, uscite dalla classe. Fatica a decollare un reale allargamento e generalizzazione delle responsabilità del progetto inclusivo, anche se, è necessario sottolinearlo, non sono assolutamente sporadiche le esperienze qualitative che vanno nella direzione opposta.

Ianes (2014), nella sua proposta di evoluzione-superamento della figura dell’insegnante di sostegno, attribuisce questa carenza a deficit di natura strutturale, legati alle modalità di nomina che enfatizzano la dimensione
medica; alla tipologia di ruolo svolto, che risulta differente da quello dei colleghi e quindi, come tale, appare necessitante anche di spazi diversi; alla mancanza di forme di supporto e supervisione
assicurati da colleghi più formati ed esperti. Arriva a dire: “nei docenti di sostegno è nascosto un tesoro di energie, che merita di essere liberato dalle rigidità distorte del sistema attuale” (pag.100).

Ma siamo così sicuri che questa affermazione risponda completamente al vero e che la soluzione sia da ricercare principalmente in uno stravolgimento organizzativo?

Certamente esistono grosse risorse — sia a livello di competenze, che di motivazione — le quali non possono di sicuro dirsi generalizzate e, soprattutto, a risultare carente è una cultura dell’inclusione condivisa in tutti gli insegnanti, che porti ad orientare le politiche e le prassi educative nella direzione di facilitare l’apprendimento e la partecipazione di ognuno.

La chiave di volta, a mio avviso, sta più nella formazione che nell’organizzazione strutturale, che va comunque corretta in alcuni elementi significativi. Detto in altri termini, ritenere che il riassorbimento di un’ampia percentuale degli attuali insegnanti di sostegno nei ruoli curricolari determini un incremento esponenziale delle compresenze e la promozione di una didattica maggiormente inclusiva è un auspicio legittimo, ma realisticamente difficile da prevedere su ampia scala. D’altronde, il continuo migrare degli insegnanti di sostegno verso i ruoli comuni, una volta trascorso il quinquennio obbligatorio, non mi sembra abbia prodotto negli anni modifiche significative nelle forme di collaborazione e di lavoro congiunto degli stessi insegnanti con i nuovi colleghi di sostegno. In questa situazione è da temere una risposta difensiva da parte di molte scuole, con richiesta agli Enti Locali di personale assistenziale di supporto per alimentare ancora le procedure di educazione separata.

La parola chiave è la formazione, iniziale e in servizio, per tutti sui temi della pedagogia e didattica inclusiva. Almeno per quello che riguarda il segmento della scuola dell’infanzia e primaria siamo sulla strada giusta, con un corso quinquennale a ciclo unico nel quale sono previste specifiche sezioni dedicate ai temi inclusivi. Lo stesso non può dirsi per la scuola secondaria di primo e secondo grado, dove il mancato decollo delle lauree specialistiche per l’insegnamento e le caratteristiche del tirocinio formativo attivo poco si addicono al perseguimento degli obiettivi che la scuola dell’inclusione pone in primo piano.

Un discorso a parte merita il corso di formazione per il sostegno rivolto ad insegnanti abilitati, di 60 crediti formativi, il quale rappresenta sicuramente un grosso passo avanti rispetto ai percorsi precedenti e, come tale, potrebbe avere ripercussioni importanti sull’esercizio della professione in una dimensione realmente inclusiva, che dalla scuola si apra anche al progetto di vita. Qualche adattamento al piano formativo andrebbe adottato, soprattutto nella prospettiva di esaltare maggiormente il ruolo che ho definito pivotale dell’insegnante di sostegno, vero perno della rete di supporti scolastici e territoriali, ma indubbiamente costituisce una buona sintesi dell’esigenza di promuovere competenze specialistiche e trasversali di didattica inclusiva. Ma di questo parlerò nel prossimo paragrafo; per ora mi limito a sottolineare come appaia sorprendente che, dopo aver sollecitato tanto —- soprattutto come Società Italiana di Pedagogia Speciale (SIPeS) — l’adozione di un curriculum formativo per l’insegnante di sostegno che rispondesse alle esigenze evidenziate, ci si trovi a dibattere dell’opportunità di modificare l’organizzazione prima ancora di aver verificato gli effetti di questo nuovo percorso formativo.

L’esaltazione del ruolo di perno dell’insegnante specializzato per le attività di sostegno può essere potenziato anche attraverso alcune modifiche strutturali e organizzative, in grado, a mio avviso, di compensare delle evidenti criticità. Le finalità di questo contributo non consentono di andare oltre una semplice elencazione e una breve analisi delle questioni. Mi riprometto, comunque, di tornare su questi aspetti per argomentare maggiormente la mia posizione.

Per prima cosa, in questa prospettiva non ritengo necessario che la nomina dell’insegnante di sostegno avvenga sulla base del numero di certificazioni sanitarie degli allievi con disabilità. Sarebbe molto più opportuno una distribuzione delle risorse alla luce di una lettura dei bisogni di sostegno e della progettualità della scuola, da effettuare con un approccio integrato, fin dall’inizio, fra l’istituzione educativa, le famiglie, i servizi specialistici e territoriali. L’esigenza legittima di porre la scuola al centro nella individuazione dei bisogni e nella richiesta di risorse, sarebbe in questo modo soddisfatta, senza privarsi però del contributo essenziale dato dalle altre componenti.

Le certificazioni verrebbero così a rappresentare un elemento, ma non la condicio sine qua non per la nomina di insegnanti specializzati e la dimensione progettuale, pubblica, potrebbe esaltare la risposta di tipo contestuale prima ancora che indirizzata al singolo individuo, con l’insegnante di sostegno come perno centrale di tutto il processo. Anche il piano annuale dell’inclusione (PAI) verrebbe ad assumere una valenza primaria per l’impiego nelle classi dell’insegnante specializzato, senza risultare, come avviene sovente, un semplice adempimento burocratico soddisfatto attraverso una sorta di sommatoria di PEI e PDP.

Le nomine per l’insegnante di sostegno, in questa ottica, dovrebbero avere valenza pluriennale, per assicurare la necessaria continuità, sia con i singoli allievi, che nell’espletamento della funzione pivotale di sistema. E’ poi sicuramente da condividere l’idea, già sostenuta dalla SIPeS in uno specifico documento2, di valorizzare quegli insegnanti che nel tempo si vengono a costruire una specializzazione e delle specifiche competenze su aspetti diversi, debitamente documentate e certificate, senza comunque distaccarli dal loro ruolo nelle scuole di appartenenza. Si potrebbe costruire una banca dati di queste specializzazioni e della loro allocazione a livello territoriale, per poter soddisfare esigenze di vario tipo manifestate dalle scuole. La spiccata preparazione e la messa a disposizione di tempo aggiuntivo potrebbero dar luogo a incentivi retributivi.

Insegnante di sostegno. Le scuole dell'inclusione ne hanno bisogno? (prima parte)

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