Lavoro sommerso docenti, la proposta: “36 ore settimanali da svolgere presso la sede scolastica. Attività extra da retribuire” [INTERVISTA]

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Sulla questione stipendi docenti e lavoro sommerso non si arriva mai ad una conclusione. Ogni giorno i docenti sono consapevoli di lavorare molto e di guadagnare poco, specialmente se si prendono in considerazione i colleghi degli altri Paesi.

Eppure le ricerche sul lavoro sommerso e sull’adeguata retribuzione sono tantissime: l’ultima, in ordine cronologico, quella condotta da Carlo Cottarelli, direttore Osservatorio conti pubblici italiani, che mette proprio sul piatto della bilancia le ore di lavoro non conteggiate contrattualmente degli insegnanti.

Le ricerche e gli studi sul tema sono numerosi. A mettere sotto la lente d’ingrandimento gli stipendi degli insegnanti e il lavoro sommerso è il Movimento Docenti, di cui riportiamo due analisi sui temi in questione.

ANALISI STIPENDI DOCENTI

ANALISI LAVORO SOMMERSO

Inoltre, Orizzonte Scuola ha posto alcune domande ad  Antonella Daniela Zisa Presidente e Coordinatrice de Movimento Docenti e al professore Silvano Mignanti, autore delle due analisi.

 

Potreste spiegare il metodo che ha condotto la vostra associazione, in particolare il professore Mignanti, per lo studio sugli stipendi dei docenti italiani e il lavoro sommerso?

Il metodo adottato per entrambi gli articoli pubblicati è stato quello del maggiore rigore scientifico possibile. Tutti i dati dell’articolo riguardante gli stipendi dei professori sono stati reperiti dai rapporti OSCE 2020 e 2021: in questo caso ci si è “limitati” a commentare i risultati evidenziando i principali aspetti che tali risultati raccontavano in modo asettico, rendendoli più espliciti e più facilmente accessibili. Per quanto riguarda l’articolo sul lavoro “sommerso” dei docenti, invece, si è provveduto a contattare il maggior numero di colleghi possibile, chiedendo loro di fornire una stima delle ore che ciascuno dedica alle varie attività. Si sono inoltre integrate le esperienze professionali di vita vissuta a scuola sia personali sia di altri colleghi e conoscenti, provvedendo poi a mediare il tutto cercando di evitare estremismi tanto al ribasso quanto al rialzo. Infine, si è cercato di trovare i valori “medi” sulla base di una statistica di massima sulla ripartizione delle ore dei docenti, sulle classi loro assegnate ecc. Il report, del tutto indipendente, della provincia autonoma di Bolzano, uscito poco dopo conduce a risultati praticamente analoghi.

E alla fine si arriva al solito punto: gli stipendi dei docenti italiani sono bassi in rapporto anche all’impegno profuso …

L’articolo sugli stipendi dei docenti è molto dettagliato e tratta diversi aspetti, per i quali si rimanda all’articolo stesso. Volendo riassumere i punti salienti, possiamo dire che per singolo studente ed in riferimento alla spesa per alunno in rapporto al salario dei docenti l’Italia sembra assegnare una ben scarsa priorità nell’investire sui propri giovani; un docente italiano ha un salario che, rapportato a professionisti di pari livello, è pari a circa il 70%, quindi circa il 30% inferiore; in Italia, molto più che in altre nazioni, intraprendere la carriera del docente è svantaggioso, in particolare per i docenti maschi, il che porta ad una sproporzione nei rapporti delle presenze dei due sessi; lo stipendio dei docenti italiani è il secondo più basso in Europa e la progressione di stipendio con l’avanzamento della carriera non migliora (se non addirittura, peggiora, in proporzione) le cose. Questo è particolarmente disarmante perché, nell’articolo sugli impegni dei docenti, si è chiaramente evidenziato che le ore di lavoro dei docenti italiani sono almeno paragonabili (se non superiori) a quelle dei colleghi europei; inoltre, i dati OSCE evidenziano chiaramente che buona parte dei docenti italiani sono a fine carriera, quindi il dato medio sugli stipendi dei docenti italiani di fatto rappresenta il valore massimo, cosa che, come se non fosse già abbastanza negativo, peggiora ancora questo dato.

Diamo dei numeri evidenziati nel vostro studio?

Vogliamo “dare i numeri”? Se consideriamo solo i salari medi, comprensivi di bonus vari, per un docente in Italia si parla di 41,8K$ (si sottolinea che tutti i valori sono rapportati al reale potere d’acquisto del denaro nei paesi di riferimento ed espressi in dollari equivalenti), il secondo salario più basso in Europa fra quelli del rapporto, mentre la media OSCE ed EU22 si aggira intorno ai 65K$: si è lontani in modo imbarazzante, per uno Stato che afferma costantemente la centralità dell’istruzione, dai 137,6K$ del Lussemburgo, dai 101,9K$ della Svizzera, dai 95,2K$ della Germania ed addirittura dai “miseri” 60,8K$ della Danimarca.

Quello che emerge è anche il lavoro sommerso, un problema non da poco, difficile da quantificare in modo univoco ma che ogni insegnante conosce bene

Nel nostro studio abbiamo cercato di dettagliare tutte le attività che sono svolte da ogni docente nell’esecuzione del proprio lavoro quotidiano, assegnando, per ogni tipologia di impegno, un numero di ore settimanali e/o annuali. Sono stati identificate 13 macroaree di attività che riguardano la professione docente e che qui esemplifichiamo: lezioni effettive e preparazione delle stesse; preparazione e correzione dei compiti in classe e assegnati per casa; riunioni degli organi collegiali; ricevimenti genitori e studenti; ricevimento rappresentanti case editrici, visione e valutazione dei libri di testo/materiale didattico; stesura PdP, PfP, PEI, PIA, aggiornamento professionale ecc. Già solo queste, sommate insieme, portano ad un monte ore complessivo che si aggira, in media, fra le 1630 e le 2000 ore. Rispetto alle famose ritrite “18 ore a settimana con vacanze a Natale, Pasqua ed estate”, la realtà è molto diversa. Oltre al fastidio intrinseco che il summenzionato commento genera, una cosa che dispiace particolarmente è che ben il 40% circa delle ore di lavoro di un docente, fra quelle sopra identificate, non sono investite in attività riconducibili alla didattica ma piuttosto in operazioni di pura burocrazia o equivalenti.

Come Movimento avete una proposta in particolare per intervenire sul tema, anche in rapporto al lavoro sommerso?

A nostro parere, il modo migliore per far emergere il sommerso a scuola è dettagliare, voce per voce, in termini di quantità di ore da dedicare ad ognuna di esse, quali sono le incombenze dei docenti che affiancano l’impegno fisso della docenza: per esempio, 18/24 ore a settimana di lezioni in classe, 130 ore per consigli, collegi ed organi collegiali in genere, 50 ore annuali di ricevimento genitori, e così via. Contrattualizzare il numero esatto di ore per ogni tipologia di attività non è di per sé sufficiente, nella dimensione flessibile del lavoro intellettuale, a garantire il rispetto di tali obblighi contrattuali da parte dei docenti. Le opzioni sono due: o si ipotizza che il lavoro dei docenti debba essere equiparato in toto a quello degli altri dipendenti pubblici laureati, con un orario pari a 36 ore settimanali da svolgersi presso la sede lavorativa, quindi a scuola, oppure si assume che i docenti possano effettuare in telelavoro le ore di lavoro che seguono l’attività di docenza curricolare, compresi i periodi pre-ferie, quelli prenatalizi con esclusione di scrutini e di Esami finali, ecc. La seconda opzione, che poi di fatto grosso modo è quello che avviene adesso, non risolve alcunché, anzi, dà adito al diffondersi del pregiudizio già indicato cui la politica si accoda aggiungendo incombenze su incombenze al lavoro dei docenti. Di conseguenza, come Movimento riteniamo che l’unica via perseguibile sia quella di garantire ai docenti di lavorare come gli altri laureati del pubblico impiego, facendo gestire le loro 36 ore settimanali presso la sede scolastica di riferimento. È l’unica strada per valorizzare il sommerso.

Come si dovrebbe realizzare ciò?

Questo modello comporta ovviamente la realizzazione di ambienti e l’allestimento di spazi per il lavoro della docenza, con la fornitura di tutti gli strumenti necessari (computer, stampanti, scanner, fotocopiatrici, connessione veloce ad Internet, hardware e software, ecc.), e di luoghi adatti a riunirsi per programmare e progettare attività didattiche, educative, formative, a ricevere i genitori e gli alunni, dove poter riporre e custodire compiti, manuali, libri, ecc. Ripensando strategicamente l’utilizzo dei fondi del PNRR destinati all’edilizia scolastica, già sin d’ora si potrebbe raggiungere una parte di tale risultato restaurando e ristrutturando spazi e/o ricavandone o individuandone di nuovi, emulando l’organizzazione e la destinazione degli spazi di quelle scuole del nord Europa che vengono sempre indicate come modello di didattica definita innovativa senza però ammettere che l’azione didattica è tanto più efficace quanto più è legata alla qualificazione degli ambienti in cui i docenti d’oltralpe lavorano, come dimostrano moltissimi studi internazionali sul tema che non è affatto peregrino.

E poi, cos’altro servirebbe?

In concreto, laddove non si potesse assegnare uno spazio ad ogni docente come suo personale di lavoro, opportunamente attrezzato, perlomeno si può ripensare il medesimo spazio per gruppi di lavoro omogenei (per dipartimenti per esempio), oppure, attrezzare le aule esistenti per un uso duplice, come spazio per le lezioni degli alunni e come luoghi per quella parte del lavoro dei docenti che non consiste nelle lezioni in presenza. Questa strada richiede il potenziamento degli strumenti di sicurezza già esistenti e la conseguente riorganizzazione delle attività lavorative del personale ATA. A fronte di questo nuovo paradigma, qualsiasi attività extra rispetto a quelle contrattualizzate e strettamente connesse alla professione docente dovrà essere considerata straordinaria (partecipazione ai progetti, ai viaggi di istruzione, alla formazione in ambito psicopedagogico e disciplinare, alle attività di PCTO, ai corsi di recupero e di potenziamento, ecc.) e quindi remunerate in quanto tali. Il medesimo riconoscimento andrà dato ad altre attività di profilo organizzativo, gestionale, di coordinamento, di formazione tra pari, ma dal momento che non tutti i docenti sono vocati o interessati a tale tipo di lavoro perché preferiscono dedicarsi solamente alla didattica con e per gli alunni, esso potrebbe aprire strade vocazionali ed opzionali di progressione di carriera basata anche su una sorta di “specializzazione” di interessi e di sviluppo di capacità personali ulteriori alla docenza, attraverso opportuna formazione.

Questo modello potrebbe anche portare mutamenti dell’organizzazione dell’orario?

Come Movimento ipotizziamo o un orario articolato su 5 giorni la settimana con ingresso alle 8.00 ed una uscita dopo le 15.00 oppure su 6 giorni, con termine alle 14.00; nel primo caso ai docenti spetterebbe anche il diritto alla mensa o, in alternativa, ai “buoni pasto”, laddove il servizio mensa non fosse possibile, nel secondo, invece, non sarebbe necessario. Questa profonda revisione dell’organizzazione del lavoro dei docenti dovrà essere accompagnata da un deciso incremento stipendiale con conseguente rivalutazione dell’importanza del loro lavoro. È un caso se i professori universitari, che fondamentalmente svolgono una professione analoga a quella dei docenti di ogni ordine e grado con responsabilità di gran lunga inferiori, vengono visti dalla società con enorme rispetto? I loro stipendi sono mediamente dalle 3 alle 5 volte quelli di un docente e questo, per la maggior parte delle persone, si traduce in una misura automatica della maggiore importanza del loro ruolo.

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