“Degli insegnanti di sostegno si fa cattivo uso”, come riqualificarli: la proposta di Dario Ianes

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Ha suscitato numerose polemiche la sperimentazione coordinata da Dario Ianes presso l’Università del Trentino Alto Adige e che vorrebbe la trasformazione dell’80% dei docenti di sostegno in docenti curriculari. Ne abbiamo discusso con l’ispiratore.

Ha suscitato numerose polemiche la sperimentazione coordinata da Dario Ianes presso l’Università del Trentino Alto Adige e che vorrebbe la trasformazione dell’80% dei docenti di sostegno in docenti curriculari. Ne abbiamo discusso con l’ispiratore.

Le premesse della sperimentazione sono così buone da far parlare già di nuove frontiere dell’inclusione degli studenti diversamente abili o comunque bisognosi di strategie educative particolari.

Il paradosso è che, a quanto pare, per la realizzazione di una vera inclusione i primi a doversi sentire integrati sono loro, i  docenti di sostegno, troppo spesso emarginati – e non di rado per loro stessa scelta – dal lavoro che si fa in classe. Ne abbiamo parlato con Dario Ianes, il pedagogista e docente universitario dell’ateneo di Bolzano, co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento e direttore della rivista “Difficoltà di apprendimento”, che sta guidando la sperimentazione.

Professore, qualche mese fa le assunzioni sul sostegno sembravano essere nell’occhio del mirino della spending review (“Non possiamo continuare ad assumerne ai ritmi degli ultimi anni” ci aveva detto Daniele Checchi). Lei che cosa ne pensa, è vero che in Italia ci sono troppi insegnanti di sostegno?

“Io penso che la questione debba essere vista da un altro punto di vista: degli insegnanti di sostegno si fa un cattivo utilizzo, è questo che determina la scarsa inclusione degli alunni portatori di handicap. Ma è fuori discussione che queste figure debbano continuare a svolgere il loro lavoro, magari in un’ottica evolutiva rispetto al passato”.

In questi giorni lei in diverse occasioni ha ribadito l’importanza di una trasformazione del lavoro del docente di sostegno. In che direzione?

“Bisogna capire una volta per tutte che è giunto il momento di lavorare in maniera diversa: l’insegnante di sostegno deve smettere di isolarsi, di portare l’alunno disabile fuori dalla classe, ma deve diventare una risorsa per il docente curricolare. Il loro deve essere un lavoro in compresenza, un lavoro di squadra. E’ importante anche che si prenda consapevolezza del fatto che le emergenze, le situazioni che vedono i ragazzi bisognosi di un sostegno supplementare spesso sfuggono alla diagnosi medica: il potenziamento dell’organico funzionale, invece, potrà andare incontro anche ad esigenze di questo tipo”.

Come sta succedendo nelle 17 classi del Trentino-Alto Adige in cui avviene la sperimentazione?

“Esatto, nelle 17 classi che si sono autocandidate per questa sperimentazione i docenti di sostegno lavorano in compresenza con i docenti di classe e beneficiano della supervisione di due docenti distaccati al 75%”.

Che cosa vuol dire distaccati al 75%? Nella restante parte del loro orario insegnano?

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“No, svolgono lavoro d’ufficio. Vorrei precisare che si tratta di figure di elevate competenze non solo pedagogiche e psicologiche, ma anche relazionali che forniscono consulenza, materiali, strategie, aiutano, monitorano, valutano tutti i colleghi curriculari ai quali è demandata l’integrazione”.

Quale ente ha finanziato il progetto? Immagina anche una sua esportabilità al di fuori dal Trentino?

“Il finanziamento è arrivato dall’Iprase (Istituto provinciale per la ricerca, l’aggiornamento e la sperimentazione educativi), e per adesso aspettiamo di vedere i risultati a fine anno scolastico. Ci auguriamo che questo nostro lavoro possa servire a determinare una prospettiva evolutiva per la figura del docente di sostegno”.

Il problema è che spesso il sostegno si vede come una scorciatoia per accelerare l’entrata in ruolo…

“Mi pare che adesso, col Tfa per il sostegno che dura un anno intero, questo fattore possa in parte venire meno”.

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