Lezioni private agli alunni. Un punto di vista e una proposta: e se diventassero lavoro con garanzie?

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"Ripetizioni private, chi non ne ha mai presa una" ci domanda Vincenza Palmieri, presidente dell’Inpef (Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare).

"Ripetizioni private, chi non ne ha mai presa una" ci domanda Vincenza Palmieri, presidente dell’Inpef (Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare).

Eppure una pratica tanto diffusa quanto spesso indispensabile al successo formativo degli studenti non accenna ancora a uscire dal limbo del lavoro nero-sommerso. 

Professoressa Palmieri, in un nostro recente scambio di mail lei asseriva che “ l’aiuto pomeridiano nei compiti è sempre stato un lavoro nero e orfano, quando invece, nei decenni, ha salvato migliaia di ragazzi (e di pace familiare)”. Davvero secondo lei si potrebbero trasformare le ripetizioni in un lavoro socialmente utile garantito a livello istituzionale?

“Certamente. La scuola non è sempre sufficiente. Un tempo esisteva il precettore, che istruiva i figli della nobiltà. Ed anche oggi chi può permetterselo usufruisce di un servizio radicatissimo nella nostra realtà. Chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha avuto bisogno di una ripetizione di matematica, greco, latino? E' quindi un lavoro vero, estremamente diffuso, che raggiunge sempre più strati sociali. E non solo per le classi di Istruzione Secondaria Superiore, ma anche per le scuole elementari, in virtù dello sdoganamento anche nelle primissime classi della richiesta di una "stampellina a casa" per un ragazzo che presenta qualche difficoltà. Inoltre, la stessa formula è utilizzata anche da Dirigenti o Accademici per la preparazione privata ai concorsi pubblici o ai test di ammissione all'Università. 

Onestamente, non credo sia possibile quantificare il denaro che si muove intorno a questo sistema, quello che sappiamo è che una "ripetizione" va dagli 8 euro ai 150 euro, per quanto ci è dato sapere. Sappiamo anche che ci sono pacchetti offerti da gruppi di docenti che si alternano all'interno di una medesima famiglia e che offrono, a seconda delle necessità dei ragazzi, lezioni d'inglese, di matematica o aiuto nel ripetere storia e geografia. 

Questa forma di lavoro "sommerso" ma ben noto raccoglie ed investe tante persone che vanno dalla studentessa universitaria all'Accademico, al Dirigente. Si diceva: chi di noi non ha ricevuto almeno una volta nella vita una ripetizione? Altra domanda: quanti dei nostri studenti oggi iscritti e frequentanti non hanno mai ricevuto una ripetizione privata? E ancora: quanti sono gli studenti iscritti nel nostro sistema scolastico? 7,8 milioni di studenti, di cui 736.000 stranieri, nella scuola pubblica; a cui si aggiungono 1.036.312 nelle paritarie (dati 2012-2013). Di questi quasi 10 milioni di studenti, quanti non hanno mai ricevuto una ripetizione privata e quanti di questi sono seguiti – stabilmente o periodicamente – da un insegnante di recupero a casa? Quante "notti prima degli esami" hanno avuto un angelo riparatore? Con questi numeri reali e con una didattica in difficoltà, quanto è grande questa rete di lavoro? Una grossa fetta dei 10 milioni! Moltiplicata per… Il risultato è un numero con molti zeri! E perché, tra tanti lavori non più sommersi, questo continua invece a rimanere tale? Percepito proprio come una "normale routine"!

Certo, non possiamo paragonare il caporalato alle ripetizioni private, ma sui bisogni delle persone – docenti e famiglie – e sulle carenze dei servizi non si possono fare sconti. E' vero anche che molte scuole "fanno il doposcuola", ma spesso le ore di doposcuola vengono utilizzate per materie integrative oppure per fare i compiti, seguiti da un docente che in realtà non interviene sulla lacuna del singolo e si occupa semplicemente di vigilare sul lavoro svolto. Solitamente, a parte le ovvie eccellenze.
Invece la ripetizione privata come lavoro personalizzato – come abbiamo detto nel nostro precedente scambio di mail – ha salvato migliaia di ragazzi e pace familiare. Tanto più che tante famiglie preferiscono far seguire i propri figli privatamente, invece di lasciarli al doposcuola. Dunque, se la rete è così fitta e il business così grande (e quasi mai fatturato), allora forse è il caso di smetterla di  nascondersi dietro  ad un dito ed ignorare un fenomeno di così vaste proporzioni e di mettere a sistema questo sistema ".

Quest’anno, grazie alla legge 107, saranno fortemente implementati nelle scuole i cosiddetti organici potenziati, che in teoria hanno lo scopo di rafforzare l’offerta formativa delle scuole per facilitare e garantire il diritto all’apprendimento, magari sollevando le famiglie proprio dalla spesa delle ripetizioni. Lei che cosa ne pensa?

“Penso che il punto non si possa ridurre ad una mera questione di organico, ma che si debba verificare l’impostazione e la prassi dell’intero sistema. Da quanto le dicevo prima, infatti, nascono una serie di riflessioni. Si può imparare soltanto se c’è un lavoro “uno a uno” o “uno a pochi”? Le “classi pollaio” di base hanno ucciso l’apprendimento, perché hanno massificato l’esigenza del singolo. E allora, davvero si può fare un ulteriore passo e chiedersi se sia proprio il sistema che andrebbe cambiato. Magari pensando al docente anche come ad un supervisore, come in una biblioteca in cui tutti hanno materiali molto accessibili ed ognuno fa il proprio percorso alzando la mano quando ha bisogno, ecco, di un sostegno (un sostegno concepito come “piccole immersioni d’aiuto”). Oppure come un esperto nella relazione d'aiuto? Se vogliamo parlare di didattica e di metodologia, dobbiamo allora parlare di tantissimi modelli, di istruzione ed educativi, inclusivi e contenitivi. E’ il caso di precisare che non esiste solo il metodo a noi noto nella nostra scuola Italiana, col professore che insegna e i ragazzi più o meno passivi e seduti. Questo è solo il modello-classe a cui siamo abituati, ma ci sono molti altri modelli possibili. 

Ed è il caso anche di andare oltre le corporazioni, essere critici, autocritici ed autoironici. I docenti sono il pilastro della storia e della riforma sociale, ma sono anche perfettibili: bisogna stare al gioco. Non ci dimentichiamo che la stessa Scuola di Barbiana fu un esempio particolare di “scuola nel fare”. Oppure ricordiamo gli “insegnanti di strada”. Il discorso del lavoro sommerso/precario, tornando al tema originario, si configura, dunque, innanzitutto come un discorso di classe: inteso sia come “classe docente” che come “classe sociale” in generale.

Ma dobbiamo dire anche che, in alcuni centri sociali o oratori, c'è' tanto supporto per i "compiti", tanto lavoro che non si può liquidare come “volontariato”, perché non è giusto sopperire alle carenze di un Governo o di uno Stato sempre e soltanto con il volontariato o con il lavoro sommerso/precario che viene, poi, comprensibilmente colpevolizzato e sanzionato".

Ha parlato di docente come supervisore… una definizione un po’ riduttiva, la nostra tradizione (che non credo sia da buttare) ci ha abituati a concepirlo come l’anello forte nella trasmissione del sapere. 

"No certo, intendevo quello come una delle possibili modalità di trasmissione del sapere, non come atto unico! Questa prassi è già presente ed utilizzata, ad esempio, durante i lavori di gruppo, le verifiche, i compiti in classe o durante le ricerche o attività di laboratorio. Sono tutti momenti in cui lo studente fa, prova, sperimenta, sbaglia, si confronta (peer education) e sa che, comunque, è vicina e pronta ad intervenire ed infondere sicurezza la "fonte primaria" di trasmissione del sapere! Questa è procedura comune, ma deve essere valorizzata proprio per l'alto valore formativo che ha. Per concludere, rappresenta una pratica molto amata dagli studenti e, in modo particolare per le attività in gruppo, molto apprezzata anche dalle famiglie."

In questi giorni si riapre anche la discussione tra Governo e sindacati della scuola per il rinnovo del contratto di lavoro, ma la questione che lei pone non è certamente all’ordine del giorno, nessuno vuol sentir parlare di lavoro sommerso. Avrebbe un messaggio da inviare a chi si siederà a questo tavolo?

“Sì: di aggiungere un posto a tavola. Perché non si tratta, infatti, di parlare solo di lavoro sommerso, ma si tratta di parlare delle ragioni didattiche, metodologiche, di programmi, di "accanimento diagnostico sui bambini": si deve parlare di tutte quelle ragioni per cui nasce e per cui si ha bisogno di questo lavoro sommerso.

In altre aziende si appaltano all'esterno porzioni dei processi di produzione o addirittura di gestione dell'azienda perché non si è in grado di coprire autonomamente l'intera catena produttiva. Così come avviene anche negli ospedali, ad esempio. Sarebbe interessante incominciare a ragionare su un sistema affine anche nella scuola, per dare dignità, trasparenza, ruolo a chi, di casa in casa, porta un risultato o comunque una speranza di risultato.

Si potrebbero creare dei veri e propri archivi di esperti, docenti, specialisti che offrono a sistema questo tipo di aiuto. E che questo protocollo sia anche monitorato, tutelato; e le persone aggiornate e garantite. Se si nega l'esistenza del dottore è per negare la malattia”.

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