Innovazione didattica, dal gamification al rispetto dei ritmi biologici. Quali sfide attendono l’insegnamento

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Dove si trovano le scuole più creative e innovative del mondo? A quali modelli educativi fanno riferimento?

Dove si trovano le scuole più creative e innovative del mondo? A quali modelli educativi fanno riferimento?

Fino a che punto il privato può orientare decisioni importanti come l’impiego delle tecnologie? Ed è vero che la gamification giocherà un ruolo sempre più centrale nell’istruzione? Ne abbiamo parlato con Alessandra Cenerini al termine di un importante convegno organizzato dall’Adi nei giorni scorsi a Bologna e il cui titolo non poteva essere più immaginifico: “Big Bang. Le scuole più creative del mondo”.

Cenerini, c’è bisogno di un bing bang nel modo in cui educhiamo e istruiamo i nostri ragazzi. Quali sono le scuole che in qualche misura l’hanno già avuto?

“Di scuole innovative, in questo indimenticabile seminario, ne abbiamo passate in rassegna molte, dall’americana Quest to learn, che ha impostato tutto il curricolo sui principi del gioco, alla Rye studio school inglese che, rifacendosi alle Botteghe del Rinascimento, ha rivoluzionato l’istruzione tecnica e professionale, alla UCL Academy, una scuola sponsorizzata dalla prestigiosa università di Londra, dove si rispettano i ritmi biologici degli adolescenti, al Collège Clisthène di Bordeaux , una scuola media a misura degli alunni, che ha ispirato la recente riforma francese di questo segmento scolastico”.

Sono scuole in cui la bocciatura, immagino, non esiste. Ma come si vince la sfida di fare arrivare tutti al traguardo senza ipocrisie e senza buonismi? 

“Sono innanzitutto scuole dove “si sta bene”, scuole che “accolgono”, dove ciascun allievo riceve specifica, costante attenzione e cura. Si segue una didattica per progetti, ci sono ampie opzioni, e sono stati rivoluzionati due elementi cruciali, gli spazi e i tempi, scardinando il modello che ci trasciniamo dalle scuole dei Gesuiti, 16° secolo! Sono scuole che hanno una grandissima autonomia, dove gli insegnanti sono assunti se condividono il progetto educativo e sono impegnati a lavorare in team. Oggi non c’è innovazione senza collaborazione fra gli insegnanti”.

Come associazione quali canali privati ritenete maggiormente idonei a spingere l’innovazione nella didattica?

“Il solo accenno al privato nella scuola italiana scatena guerre ideologiche pazzesche. Pare che nessuno abbia mai pensato che il mercato è da sempre dentro alla scuola con i libri di testo, su cui si fonda l’80% dell’insegnamento in questo Paese. Il digitale sta rivoluzionando il mercato scolastico, con promesse di successo per tutti.”Tu puoi imparare qualsiasi cosa” sta scritto sul portale della Khan Academy. Se la scuola non si convincerà che esistono nuovi modi per fare riuscire tutti gli alunni, se il ministero non abbatterà la morsa burocratica, sarà il mercato a guidare e imporre il cambiamento. Non solo vendendo tecnologia, ma fornendo tutti gli ingredienti per costruire l’apprendimento personalizzato per il 21° secolo. Ne abbiamo avuto un esempio al seminario con l’agenzia svedese Kunskapsskolan e il loro programma KED che viene venduto ‘chiavi in mano’ ”.

Di che cosa si tratta?

“Il programma KED si compone di 5 elementi. 1) Il tutor: ciascuno studente è seguito dall’inizio alla fine da un tutor attraverso incontri iniziali e in progress, che consentono di conoscere il suo background, le sue caratteristiche e aspirazioni e fissare i suoi traguardi intermedi e finali. 2) L’orario: a parte l’accoglienza del mattino e l’incontro di fine giornata, ciascuno studente ha un orario personalizzato , adatto al suo livello e ai suoi ritmi. Per realizzare questa flessibilità si organizzano gruppi di diverse dimensioni ( grandi gruppi, piccoli gruppi , singolo tutorato). Il gruppo classe è costituito da circa 21 alunni, ma durante le spiegazioni si possono unire due o anche tre gruppi. 3) Il portale dell’apprendimento: la scuola è fornita di una piattaforma digitale dove sono raccolti tutti i materiali di studio. 4) L’ambiente di apprendimento: non esistono le aule, ma ambienti flessibili che si adattano alle dimensioni dei vari gruppi e allo studio individuale. Vi è grande cura per l’architettura scolastica considerata parte integrante del programma KED. 5) Il curricolo: Il curricolo, che consente agli studenti di svolgere gli esami nazionali, prevede che le discipline di base, come la matematica, siano organizzate per step, mentre le altre siano apprese in modo interdisciplinare”.

Anche alla luce degli interventi che avete ospitato, qual è la vostra posizione sull’impiego massivo della tecnologia a scuola?

“Siamo convinti da sempre che la tecnologia sia un ausilio inestimabile anche e soprattutto per la personalizzazione dell’apprendimento, ma guai pensare che possa sostituire l’insegnante in carne ed ossa. La relazione docente discente rimane insostituibile. Ciò significa che bisogna aiutare gli insegnanti ad usare la tecnologia nel giusto modo”.

Non pensa che cambiamenti così repentini nella didattica possano impedire al sistema di formarsi i suoi anticorpi? Gli insegnanti notano sempre di più, per esempio, difficoltà di concentrazione negli studenti, causate anche dal potenziale distrattivo dei dispositivi tecnologici che usano a scopi ludici, ma anche scolastici. Avete parlato di questo?

“In tutta onestà non vedo cambiamenti repentini nella didattica. Direi piuttosto che siamo in presenza di una grande distanza e conflittualità fra cultura scolastica e cultura giovanile, fra i gusti intellettuali degli studenti e ciò che è scolasticamente utile. Se la scuola non maturerà la consapevolezza della radicalità del cambiamento, diventerà sempre più estranea alla vita delle giovani generazioni e le conseguenze saranno molto più gravi della difficoltà di concentrazione”.

Si è parlato di educazione politica a scuola, in che termini? Quali sono le proposte più convincenti?

“Il tema è stato affrontato da un grande sociologo, Alessandro Cavalli. La sua relazione ha preso avvio dalla constatazione che esiste uno spaventoso “analfabetismo politico” della popolazione italiana, soprattutto giovanile. Ha quindi proposto un coinvolgimento attivo degli studenti su tematiche politiche e valoriali. Con periodicità la classe dovrebbe essere chiamata a discutere di un tema rilevante e/o di attualità, dopo una breve presentazione del docente. La finalità è quella di fare acquisire la capacità di argomentare, di ascoltare, di convincere e di lasciarsi convincere. Ci sono criteri che devono guidare il dibattito, quali il fatto che tutte le idee debbano avere cittadinanza e quindi diritto di parola ( anche le più odiose quali il razzismo), che le idee vanno argomentate e su questioni controverse (quali l’immigrazione, la step child adoption, ecc…). occorre imparare a “prendere argomentata posizione”. Viene in aiuto agli insegnanti, afferma Cavalli, la “pedagogia della controversia” che ha il suo precursore in Dewey, mentre rappresentano l’antitesi del buon dibattito i talk show televisivi”.

Gamification dell’istruzione, una locuzione che in Italia si sente ancora poco. Ne saremo a breve travolti, però…

“Introdurre i principi del gioco in educazione è un percorso importante e promettente. Ne sentiremo sempre più parlare ma non credo che la scuola ne sarà “travolta”. Basti pensare che su questi principi si è speso Piaget, e su altro versante la Montessori, ma la scuola ne è rimasta sostanzialmente estranea. Ancora una volta sarà il mercato a imporsi di fronte all’inerzia della scuola. Negli USA si stima che nel 2020 il giro di affari per la gamification sarà di 319 miliardi di dollari!”

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