Fattori che accrescono lo Stress Lavoro Correlato: i “life event”

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Più volte abbiamo ricordato che sono tre le dimensioni di fattori che determinano lo Stress Lavoro Correlato (SLC): a) quella legata all’attività lavorativa svolta; b) quella extra-professionale che comprende tutta la vita di relazione fuori dal lavoro (famiglia, amici, vita ordinaria etc); c) quella genetica che è in parte desumibile dall’anamnesi familiare del soggetto.

Più volte abbiamo ricordato che sono tre le dimensioni di fattori che determinano lo Stress Lavoro Correlato (SLC): a) quella legata all’attività lavorativa svolta; b) quella extra-professionale che comprende tutta la vita di relazione fuori dal lavoro (famiglia, amici, vita ordinaria etc); c) quella genetica che è in parte desumibile dall’anamnesi familiare del soggetto.

All’interno di queste tre dimensioni si possono poi avere degli eventi detti in gergo psicologico “maggiori” o “disastrosi” o “catastrofici”, oppure più semplicemente “eventi della vita” (life event) come li chiamano gli anglosassoni, quasi a ricordarci che fanno parte delle umane cose ma condizionano oltremodo l’esistenza di chi li sperimenta.

Vedremo di seguito due testimonianze recanti dei life event di diversa natura: nel primo caso si tratta di un evento maggiore legato alla professione, mentre nel secondo si accenna ad un evento luttuoso extra-professionale. Si potrà notare l’evidente ricaduta sulla salute delle docenti in questione e le conseguenti ripercussioni sull’attività lavorativa a prescindere dal luogo di origine dello stress.
Gentile dottore, sono una docente che fa parte del gruppo ex Q96 ed è stata buggerata dalla legge Fornero, come lei ben sa. Nel novembre del 2011, mi ero appena informata sulla mia situazione lavorativa e mi avevano rassicurato che era tutto a posto e che a dicembre 2012 avrei potuto presentare la domanda di quiescenza quando, di lì a poco, è arrivata la "mazzata". Le lascio immaginare con quale stato d'animo ho affrontato questi lunghi anni di attesa della pensione: avevo fatto mille progetti, mi ero impegnata anche economicamente nella ristrutturazione di una casa poiché contavo sulla buonuscita che sarebbe presto arrivata, e invece…tutto si è dissolto come una bolla di sapone. A dispetto dei miei sessant’anni mi sentivo in forma ma, all’improvviso, dopo l’inganno tutto è cambiato.

Sono sempre stata un soggetto ansioso, ma è bastata quella famigerata legge a trasformare la mia ansia in angoscia.  Ho cominciato ad aver disturbi del sonno, perdita di memoria, forti emicranie, ma quello che mi destabilizza maggiormente è il non saper più trovare le soluzioni per i problemi che mi si presentano. Qualsiasi cosa mi sembra irrisolvibile, mi sento come se fossi prigioniera in una stanza buia senza uscite. Tutto ciò lo trasmetto anche alle persone che mi stanno vicine e questo mi fa soffrire ulteriormente e non riesco a trovare alcun rimedio.
Sono stata a colloquio con uno psicologo, che mi ha consigliato di rivolgermi anche ad uno psichiatra. L’ho fatto e mi è stata diagnosticata una nevrosi d’ansia. Al momento seguo una farmacoterapia ma soffro ancora di emicrania e d’insonnia persistente (mi sveglio tutte le notti alle 3 o alle 4 e non riesco più a riaddormentarmi). Attualmente sono in congedo per malattia, perché non riesco ad andare a scuola, non mi sento più all’altezza, avverto una certa inadeguatezza. Mi manca l’entusiasmo con cui portavo avanti il mio lavoro e non ho più pazienza: stare in classe mi procura spesso insofferenza e non vedo l’ora che il tempo passi in fretta. Tutto ciò mi fa star male anche fisicamente (soffro di aritmia, palpitazioni, attacchi di panico, tremori e lipotimie). Per contro, stare sempre a casa mi soffoca, mi fa sentire come un animale in gabbia. Piango spesso e mi dispero: sento il bisogno di uscire in mezzo alla gente, ma non ce la faccio e rimango immobile, come paralizzata. Il medico mi ha incitato a prendermi al più presto una settimana di vacanza, di allontanarmi dal mio paese, di fare un viaggio, ma come faccio dato che sono in congedo per malattia. Le chiedo, per favore, se può darmi un consiglio in merito al mio problema. Ne ho tanto bisogno!
Il racconto non lascia spazio a facili ottimismi anche perché non vi sono soluzioni da bacchetta magica. Tuttavia possiamo ipotizzare due tipi d’intervento: quello sintomatologico con una farmacoterapia (es. ansiolitici, antidepressivi e ipnotici) che è però minimalista e passivo, oppure quello più impegnativo e radicale cioè reattivo. Per essere più concreto citerò proprio l’esempio dei cosiddetti Q96 che si sono riuniti in comitato, hanno reagito e combattuto contro il torto subito. Finora hanno perso la loro battaglia, ma si sono conosciuti, hanno imparato a condividere il loro problema e sono fieri di ciò che hanno fatto. Il loro tempo non è stato sprecato e hanno saputo vivere dignitosamente un infame torto istituzionale.
Se poi leggiamo il secondo caso, troviamo una ragione in più per reagire e guardare la vita dritta negli occhi. Qualcuno di noi è stato infatti chiamato a essere eroico.

Caro dottore, oltre a quelle professionali, ci sono situazioni umane che vanno tenute in considerazione. La mia per esempio. Ho perso una figlia di soli 17 anni sette anni fa dopo un calvario è stata operata 17 volte per una neoplasia alla testa che si è manifestato a soli 2 anni di vita. Come se non bastasse i primi segnali clinici sono apparsi intorno all'anno di età ma non sono stati interpretati in maniera corretta dai sanitari che trattavano la bimba come celiaca permettendo al tumore di arrivare a una dimensione di un mandarino, poiché la corretta diagnosi è arrivata con un anno di ritardo. Insomma una storia umana travagliata e disastrosa. Noi come famiglia siamo sopravvissuti a una catastrofe e in quanto tali siamo malati di depressione, attacchi d'ansia e panico ma le Istituzioni pretendono comunque che io rimanga in servizio fino a 67 anni e 6 mesi. Porti avanti questa battaglia per noi, lei ha i numeri in mano che non possono non essere considerati con la dovuta attenzione.

Un evento catastrofico che si riverbera sulla persona in tutte le sue dimensioni: quella professionale inclusa. Nonostante l’origine di questo stress sia a tutti gli effetti familiare è facile intuire la ricaduta sull’attività lavorativa in termini di Stress Lavoro Correlato. In ambedue le storie vi è un evidente stress che turba gli equilibri di salute delle protagoniste le quali, non dimentichiamolo, esercitano una professione d’aiuto che contempla un’elevata usura psicofisica.
Di fronte a un dramma insopportabile per una persona sola, ciò che salva è la rete di relazioni. Se nel primo caso si è trattato della costituzione di un comitato di professionisti col medesimo problema (Q96), nel secondo diviene protagonista la famiglia che, seppur provata, condivide il dolore e trova la forza per reagire. Quando sarà finalmente giunto il momento di andare in pensione, si dovrà fare particolare attenzione a occupare tutti gli spazi disponibili affinché il tempo libero non divenga un nuovo incubatore di dolore e malinconia.
Non esistono parole di conforto per casi come quest’ultimo, tuttavia posso garantire a questa docente che il mio impegno nel far riconoscere le malattie professionali degli insegnanti – come da lei richiesto – non verrà meno.
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