Attilio Oliva, Treellle: chi è contro scuole paritarie visione “per paesi arretrati, improponibile per paesi avanzati”

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di Eleonora Fortunato – In occasione della presentazione del Quaderno 10, l’Associazione Treellle la scorsa settimana ha riunito a Roma prestigiosi relatori internazionali (vedi anche il nostro articolo) per illustrare le esperienze di quei sistemi di istruzione che integrano con successo scuole statali e scuole non statali (il caso Francia, Olanda, Inghilterra, Usa) e paventare, nel contempo, il rischio di una lenta agonia della scuola paritaria nel nostro Paese a causa dell’assenza di contributi da parte dello Stato.

di Eleonora Fortunato – In occasione della presentazione del Quaderno 10, l’Associazione Treellle la scorsa settimana ha riunito a Roma prestigiosi relatori internazionali (vedi anche il nostro articolo) per illustrare le esperienze di quei sistemi di istruzione che integrano con successo scuole statali e scuole non statali (il caso Francia, Olanda, Inghilterra, Usa) e paventare, nel contempo, il rischio di una lenta agonia della scuola paritaria nel nostro Paese a causa dell’assenza di contributi da parte dello Stato.

Abbiamo seguito con interesse i lavori perché non nuovi a questi argomenti (già affrontati nelle interviste ad Andrea Ichino e a Olmo Silva della London School of Economics) e perché il rapporto tra finanziamento e gestione delle scuole si lega in maniera nevralgica anche alla scelta educativa da parte dell’utenza e a quel divieto (‘senza oneri per lo Stato’) scritto nella Costituzione che tanti fiumi di inchiostro ancora fa versare. In questa intervista il Presidente dell’Associazione Treellle Attilio Oliva ci propone un commento ai passaggi che più hanno suscitato il nostro interesse.

 Presidente, nel suo intervento ha sottolineato che lo Stato oggi non è un buon datore di lavoro per gli oltre 700.000 docenti italiani. Cosa le fa pensare che potrebbe presto crearsi dal nulla una classe dirigente in grado di fare meglio? Ha un’idea dell’intervento strutturale che si potrebbe o dovrebbe percorrere?

“La risposta migliore a questa domanda viene dalle esperienze americana e inglese. Sia le Charter schools negli Usa sia le Academies in Inghilterra sono scuole nate in zone di forte deprivazione socio-culturale per contrastare il grave fenomeno dell’abbandono scolastico, contro cui l’offerta delle scuole statali, per definizione rigida e poco flessibile, non risultava efficace. Per fare in modo che ciò avvenisse, i governanti di questi Paesi hanno autorizzato soggetti indipendenti (gruppi di insegnanti, presidi, famiglie, imprese, fondazioni) a prendere in mano e gestire le istituzioni scolastiche statali presenti in quelle aree. Questi soggetti indipendenti dimostravano una forte spinta a innovare tanto i modelli organizzativi (orari, calendari, curricoli) quanto quelli di gestione del personale (contratti, incentivi, libertà di scelta dei docenti)”.

Academies e Charter School difficilmente, però, si possono assimilare alle nostre scuole paritarie…

“Esatto, sia le une sia le altre erano in origine scuole statali che, grazie a un finanziamento pubblico totale, sono diventate scuole “speciali” ad autonomia rinforzata, autorizzate e controllate dallo Stato. E’ importante notare che i risultati di questo investimento sono stati apprezzabili soprattutto tra la popolazione scolastica meno abbiente ed emarginata. Una efficace risposta alla piaga degli abbandoni”.

Quanto le sembra realistica la migrazione dell’Italia verso un sistema del genere in un momento in cui la principale forza politica di opposizione, cioè il Movimento Cinque Stelle, si è espressa più volte per lo spegnimento dei finanziamenti alla scuola non statale.

“Posizioni di questo tipo sono totalmente in contrasto con le tendenze di tutti i Paesi avanzati oggetto della nostra ricerca (Stati Uniti, Inghilterra, Olanda, Francia) e ripropongono una visione obsoleta naturale per paesi arretrati ma improponibile per paesi avanzati. Chi sostiene una visione del genere dimostra, poi, di non conoscere bene o di non conoscere affatto la situazione italiana, in cui il rischio maggiore non è certo rappresentato dalla privatizzazione dell’istruzione, ma da una sua completa statalizzazione: forse queste persone ignorano che la scuola italiana è già al 95% in mano allo Stato, un numero che rasenta il monopolio. Istruzione pubblica non può voler dire solo scuola di stato, ma anche scuole che lo stato riconosce (a contratto, paritarie e simili) come parte del sistema pubblico. Le leggo quanto scriveva Einaudi in proposito: “il pericolo dei monopoli pubblici è divenuto oggi per la tendenza statale degli stati moderni ad ampliare i propri compiti, forse il problema dominante del nostro momento storico… senza concorrenza tra istituti statali e privati non vi è sicurezza che l’insegnamento sia l’ottimo. Importa esistano rivalità ed emulazione… il monopolio dello stato è sinonimo di stasi, di pigrizia mentale, di prepotere”.

Sia chiaro, però, nessuno contesta il ruolo primario dello Stato in almeno tre aree fondamentali: il primo è dare indirizzi e obiettivi strategici, norme generali sugli obiettivi di apprendimento da perseguire. Il secondo è finanziare tutto il servizio pubblico di istruzione (scuole statali e paritarie). Il terzo esercitare il controllo e la verifica dei risultati, cosa che oggi non avviene affatto. Non è invece necessario che debba essere lo Stato a gestire le singole scuole, e tanto meno a gestirle tutte come sta succedendo da noi”.

Si aspettava, alla conclusione dei lavori, un affondo così forte contro la scuola statale da parte dell’ex ministro Luigi Berlinguer?

“Non posso che complimentarmi con Berlinguer per essere stato così chiaro e diretto. Ricordo che lui è stato il padre della legge che nel 2000 ha sancito la parità tra scuole statali e non statali e che forse anche a causa di quell’atto coraggioso venne abbandonato dalle frange più conservatrici del suo stesso partito. Che dire? Si è preso una rivincita quando ha potuto verificare che i Paesi avanzati che citavo prima vanno tutti nella direzione che lui stesso aveva auspicato e promosso”.

L’Ispettore Generale dell’Educazione Nazionale francese Bernard Toulemonde ha molto efficacemente illustrato la loi Debré, la legge con cui De Gaulle nel 1959 ha dato il via alle scuole private ‘a contratto’ lautamente finanziate dallo Stato (che sostiene anche i costi per gli stipendi degli insegnanti). Chi potrebbe essere il nostro De Gaulle oggi?

“Non c’è bisogno di un de Gaulle, basterebbe applicare compiutamente i principi della legge sulla parità. Il ministro Giannini ha chiarito la sua posizione quando ha detto che conformemente alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea bisogna rispettare la libertà di scelta religiosa, filosofica e pedagogica delle famiglie nell’educazione dei figli. E questa libertà si realizza davvero solo se, come ha ribadito anche il Ministro, le famiglie sono messe in condizione di poter fare delle scelte indipendentemente da condizionamenti economici: oggi invece devono pagare le rette quasi per intero e questo può venire solo da parte di famiglie abbienti”.

I materiali e i video del convegno “Scuole pubbliche o solo statali?” sono disponibili sul sito www.treellle.org

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